Esam Hani Hajjaj

un poeta di Gaza. Esam ha studiato letteratura inglese e ha lavorato come insegnante di scrittura creativa per bambini. Dall'inizio del genocidio, ha pubblicato testi quotidiani nel suo blog personale.

Giorno 1 del massacro, 7 ottobre 2023

Buongiorno da di fronte alla finestra che dà sul giardino della mia casa, pieno di datteri caduti per terra. Mio nonno ha piantato questa palma molti anni fa. È mancato due anni fa, all’età di 80 anni. Era più anziano dell’occupazione. Mi sarebbe piaciuto poter dire che la mia mattina assomiglia al gelsomino che copre la casa, ma i rumori [degli aerei] bastano a rubarti tutte le emozioni e a riempirti il cuore di paura. I bambini corrono tra le braccia delle loro madri, pensando che il loro ampio abbraccio li proteggerà dagli aerei dell’occupazione. Se una pietra è stata distrutta, cosa farà un missile all’abbraccio di mia madre!

 

Giorno 3 del massacro, 9 ottobre 2023

C’è un odore strano. Sento che mi potrebbero scoppiare i polmoni in qualsiasi istante. Sento dolori strani in tutto il corpo. Questo significa che veniamo bombardati con il fosforo bianco, proibito dal diritto internazionale. L’esercito israeliano, un’altra volta ancora, chiede agli abitanti della Striscia di Gaza di andare in Egitto, e, allo stesso momento, attacca il valico terrestre di Rafah. Non c’è acqua, né elettricità, né internet, e il centro della città è stato completamente distrutto, lì dove la gente aveva i negozi. Tutti gli aiuti sono stati interrotti e il mondo rimane in silenzio di fronte a questo fascismo.

Siamo qui a dire al mondo che voi sapete che abbiamo il diritto di difenderci, non importa quanto provate a distruggere l’immagine del popolo palestinese pubblicamente. Questo è il nostro diritto da quando l’occupazione ha iniziato a ucciderci e sfollarci nel 1948, rubando le nostre terre. I leader del mondo lo sanno e hanno anche contribuito a questa occupazione. Alcuni, tra la gente dei loro popoli, sanno [la verità] ma gli altri – la maggior parte – sono inconsapevoli e non conoscono la realtà delle cose. Comunque, questo non nega il nostro diritto a difenderci qualunque cosa accada.

L’ultima cosa che vorrei dire, o che posso esprimere, è che è stato mio nonno a piantare la palma di fronte alla nostra casa prima che morisse. Si rifiutava di lasciare la casa durante gli attacchi sulla Striscia di Gaza. Anche noi, non verremo forzati a uscire. 

Giorno 5 del massacro, 11 ottobre 2023

Un freddo pungente. Dopo vari tentativi di addormentarsi e di prevalere sui suoni delle esplosioni, il freddo ti punge perché tu non ti perda nessuna scena che avviene dentro di te. Ora c'è un nuovo massacro nelle torri di Karama, a Gaza. La gente chiama le ambulanze ma la zona è ancora sotto bombardamento. Le notizie parlano di persone carbonizzate, che nessuno è riuscito a raggiungere. I bombardamenti non si sono interrotti e il fosforo bianco e i missili concussivi consumano i nostri corpi.

In questo momento, con il freddo e le strette nel mio petto, e in concomitanza con il bombardamento di via Al-Rashid, tutto questo mi ricorda il mare. Ogni inverno, il mio petto comincia ad avvertire una specie di dolore e qualcosa di simile a uno scricchiolio, dal freddo, e non non ho mai saputo il motivo di questo dolore, nonostante io abbia fatto molti esami. Via Al-Rashid, che chiamiamo il “corniche”, che dà  sul mare ed è considerata l’unico luogo sicuro per gli abitanti di Gaza, viene ferocemente bombardata. 

Giorno 5 del massacro, 11 ottobre 2023

Il 10 di ottobre è il compleanno di mia madre. Dopo che abbiamo dovuto lasciare la nostra casa nel quartiere di Al Shujaieh, si è seduta sulle scale dicendo “Se ogni madre nascondesse suo figlio, chi difenderebbe la terra?”. 

Giorno 12 del massacro, 18 ottobre 2023

La mia amica dice che Ottobre è il mese dell’innamoramento. Il tempo cambia da insopportabilmente caldo a fresco e ventilato. Quando usciamo la sera con gli amici, prendiamo una giacca per proteggerci dal vento, e chi la dimentica sta stretto agli amici finché torna a casa e si rifugia tra le mura.

Questa notte è stata dura. L’esercito dell’occupazione ha trasformato ottobre dal mese dell’innamoramento a quello dell’uccisione degli amici. Ieri, alle 19, hanno bombardato l’ospedale Battista (Al Mamadani) a Gaza, martirizzando 500 persone e ferendone molte. Tra di loro c’era il mio amico Mohamed Qreiqa’a, un ragazzo alto e bello la cui arte rappresentava la mostruosità dell’occupazione. Mohamed ha lasciato la sua casa a Shujaiyyeh per cercare rifugio e protezione nell’ospedale. Ha lasciato tutta la sua arte a casa, e la sua anima. È uscito senza sapere che la morte lo aspettava all’ospedale.

L’occupazione nega il massacro, sostiene che lo ha fatto la resistenza. Ma data la magnitudine della distruzione, è chiaro che sia stata l’occupazione a compierlo. Nessun altro.

La dignità è scomparsa dai volti nel mondo mentre guardano cosa sta succedendo. Così come anche l'identità araba, l’umanità e i cuori delle persone. Tutto è perso. Persino le Nazioni Unite sono inutili… perché per loro i palestinesi non sono umani. Forse, se sostituissero le loro dichiarazioni internazionali con il concetto di diritti umani, potrebbero ricordare il diritto di ogni essere umano alla sicurezza. 

Ora i giovani si innamorano a Parigi, Berlino, Barcellona, ma Mohamed non era in nessuna di queste città. Era all’ospedale Battista a dire al mondo che i suoi dipinti testimoniano che ottobre è il mese della morte. 

Giorno 19 del massacro, 25 ottobre 2023

L’inverno sta arrivando. Io e i miei amici eravamo soliti comparare le strade di Gaza a quelle di Parigi per scherzare su quanto le nostre infrastrutture fossero pessime. La pioggia invernale inondava i vicinati, l’acqua entrava nelle case e a volte la gente usava i carrelli elevatori come mezzi di trasporto. Le condotte fognarie si ostruivano e tutto puzzava.

Coloro a cui piace l’inverno lo desiderano come amanti che sognano di vivere un sentimento unico sotto la pioggia. A volte riescono a farne esperienza per un breve momento, rubando questi istanti, via dagli sguardi dei loro parenti. Questa città non approva l'amore se non attraverso il matrimonio. Rubano baci e abbracci in vicoli stretti o sulle scalinate.

Questo inverno, si messaggiano sotto una coperta di missili israeliani, senza abbracci. Si mettono in lunghe file per ore, per poter semplicemente prendere un po’ di acqua potabile e pane. Questo inverno sarà molto amaro, le case sono completamente distrutte, con buchi nelle mura e nei tetti. Niente abbracci per rendere il freddo più tenero.

Molte famiglie hanno messo su tende nel Sud. Ho scoperto, più avanti, che le strade di Parigi sono piene di topi e pulci – e che le strade di Gaza saranno sempre molto più belle, se non fosse per ciò che sta facendo l’occupazione.

 

Giorno 23 del massacro, 29 ottobre 2023

Venerdì 27 ottobre, 18.15 orario di Gaza. Le chiacchiere e le storie a casa di mia zia si sono trasformate in una fossa comune. L’occupazione israeliana ha bombardato la casa sulle nostre teste senza alcun avviso. 

Stavo parlando con mio zio Adhman a Berlino, quando la casa è stata colpita. Un momento prima sedevo sulla sedia sul tetto con la mia famiglia, e quello dopo mi sono ritrovato sotto le macerie. Non so quando siamo stati colpiti. Sono svenuto per alcuni secondi e poi ho riaperto gli occhi. Mi sono sentito come se fossi stato sepolto vivo, con tonnellate di fumo nella bocca. Quella stessa nuvola di fumo che vedevo quando gli edifici venivano colpiti, ora ci ero dentro.

Ho cominciato a cercare coloro con cui ero stato prima dell’assalto: mia sorella, mio cugino, il mio altro cugino. Li ho trovati e ho cominciato a registrare un messaggio per la mia amica, Reef, in Giordania, e a mio zio, perché facessero sapere al mondo di questo attacco disumano.

Dopo dieci minuti in cui sono stato dentro al fumo, sono andato al piano di sotto, solo dopo che mio fratello ci ha detto che il passaggio era libero fino al piano terra. Abbiamo cominciato a controllare che tutti ci fossero, e tutti hanno risposto, tranne mio padre. Abbiamo cominciato a chiamare e scavare dappertutto, finché ci ha sentiti.

Abbiamo rimosso le rovine con le mani nude e ossa rotte per tirarlo fuori. I vicini volevano che lasciassimo l’edificio immediatamente, sapendo che la casa sarebbe stata bombardata di nuovo molto probabilmente, come tutte le case. Non ci importava, e abbiamo continuato a rimuovere le macerie finché non l’abbiamo tirato fuori. In un istante, abbiamo tutti deciso che non ce ne saremmo andati senza di lui, perché sappiamo troppo bene che i soccorritori temono la notte e che le ambulanze non funzionano, e che ci sarebbero voluti giorni perché qualcuno arrivasse per dare una mano a causa dell’alto numero delle vittime tutti i giorni.

Abbiamo lasciato le bambine a casa dei vicini e abbiamo messo mio padre su una barella e l’abbiamo portato al pronto soccorso all’ospedale Al Shifa, dove gli hanno dato i primi soccorsi. Mio padre aveva il piede destro e il braccio sinistro rotti. Ha trascorso 3 ore sul pavimento all’ospedale dopo che è stato tirato fuori da sotto le macerie, senza nulla sotto di lui per dargli sollievo dal dolore. Ho perso la testa. Prendevo ciò che potevo, a volte con la forza, a volte gentilmente, qualsiasi cosa per alleviare il dolore di mio padre. Più di 5 ore più tardi, ci hanno dato un materasso su cui lui potesse stendersi. Un’ora dopo, un dottore gli ha suturato la testa senza anestetico, perché ci sono poche scorte: l’anestesia è riservata a casi più seri.

L’ospedale Al Shifa è pieno di gente. Sono dappertutto: nei corridoio, nelle strade dietro l’ospedale, così tante persone sfollate sono qui in cerca di rifugio nell’ospedale, così tanti feriti, e così tanti morti in una tenda nel territorio dell’ospedale. Possiamo sentire il loro odore in ogni momento. Dentro la tenda, c’è un recipiente. Un recipiente con parti di corpi. Membra dei bambini di Gaza in un grande recipiente.  

Il giorno dopo, mio padre è stato trasferito all’ospedale europeo per essere operato al piede e al braccio. Un’altra diagnosi è stata data: il suo occhio sinistro aveva un’emorragia interna, che gli lacerava l’iride, e aveva una lente dislocata. Tre giorni senza una diagnosi e domani lo operano. Potrebbero esserci dei problemi con i nervi nella mano. Nel suo femore metteranno un impianto di platino per supportare la gamba. E questa è solo una prima diagnosi.

Il mio nome è Issam Hani Hajjaj da Gaza, e ho lasciato la mia casa a Shujaiyyeh con la mia famiglia solo perché poi venissimo bombardati a casa di mia zia nel quartiere Al Zaytoon.

Il mio nome è Issam da Gaza, e le ferite alla mia testa e alla mia spalla destra non sono state neppure controllate perché potevo muovermi e ci sono vittime molto più gravi da curare.

Il nome di mio fratello è Ahmed, e la sua schiena è ustionata.

Il nome di mia sorella è Shaymaa, si è salvata per miracolo, e ha una ferita al piede.

Mio cugino Ahmed ha 8 anni ed è stato ferito alla testa.

Per tutta la notte, mia zia mi ha detto: Issam, chiama questa storia “la tomba della vita”. Siamo stati salvati per miracolo dalla tomba. Quando siamo entrati a casa la mattina seguente, potevamo vederlo. Potevamo vedere chiaramente che Dio ha voluto una vita più lunga per noi.

 

 

Giorno 26 del massacro, 1 november 2023

Una doccia fredda, dopo quattro giorni che non te la fai, ti restituisce un senso di umanità. Sono andato al bagno dell’ospedale per farmi una doccia, e lì ho trovato una bambina che aspettava a sua volta. Aveva la pelle chiara e gli occhi color miele. Mi ha sorriso quando il mio sguardo ha incontrato il suo, e ha cominciato a parlarmi. Le ho chiesto il suo nome e la sua età. Ha detto di chiamarsi We’am e che ha 10 anni. 

We’am ha insistito che mi facessi la doccia prima di lei. Mi ha fatto sorridere, questa piccola, nonostante tutto il dolore che stiamo attraversando. È stato come se mi avesse accarezzato il cuore gentilmente con il palmo della sua mano. Dopo che abbiamo deciso che mi sarei fatto io la doccia per primo, mi ha detto che avrei avuto bisogno di un sacchetto di plastica per metterci dentro i miei vestiti, ed è corsa a prendermene uno. Sono entrato in bagno, mi sono spogliato, ho messo gli abiti nel sacchetto che We’am mi ha procurato, e ho aperto il rubinetto. 

Alcuni minuti dopo, sono uscito e ho trovato We’am che aspettava. Mentre asciugavo per terra mi ha chiesto quanti anni avessi, e io le ho chiesto di indovinare. Ha detto che le piaceva indovinare, finché è arrivata a 27 anni. Mi ha detto: “abbiamo lasciato casa nostra perché mio fratello insisteva che non restassimo un altro minuto. Lo hanno colpito comunque mentre stava in un caffè, ma è sopravvissuto." Mi ha chiesto il mio nome, e io le ho detto “Essam” e [ho aggiunto] “se hai bisogno di qualsiasi cosa, vieni a dirmelo”. Ho finito di asciugare per terra e l’ho lasciata perché si facesse la sua doccia fredda. Sono stato in piedi sotto il sole e alcuni minuti dopo We’am è uscita con i capelli bagnati, come una principessa che esce per salutare la sua gente.  Poi mi ha rivolto un grande sorriso ed è andata per la sua strada. 

Dopo che il suo sorriso ha abbandonato il mio sguardo, l’infermiere è venuto a dirmi che l’intervento di mio padre sarebbe stato il prossimo, e di “venire a prepararlo”. Era come se il sorriso di We’am avesse portato via il mio senso del tempo, fino al punto che mi è sembrato che tutto sia successo nell’arco di pochi secondi. 

Mio padre ha fatto l’intervento e ne è uscito bene, con pezzi di platino nel braccio e nella gamba che tenevano insieme le ossa. Ma non c’erano solo buone notizie. Ci hanno detto che ha perso l’occhio destro. Il dottore ha detto che potrebbero riuscire a riparargli la vista, perché il danno non ha raggiunto la cornea ma che avrebbe bisogno di cure fuori da Gaza. Con ogni momento che passa la sua vista diventa più irrecuperabile. 

Con tutto questo dolore, mia madre e le mie sorelle sono ora nel quartiere di Al Nasr, nel nord di Gaza. Non siamo ancora riusciti a farle uscire verso sud, dove ci troviamo ora. 

Giorno 39 del massacro, 14 novembre 2023

La pioggia, come l’aggressione, cade su di noi pesantemente, portandosi via con sé la sicurezza di chi è in lutto, poi si ferma, poi ricomincia. Stanno trascorrendo giorni pesanti per noi sotto l'aggressione israeliana, e ora è arrivata la pioggia ad aumentare la nostra sofferenza. La vita è strana nel realizzare le cose, perché Dio non ci manda altro che il bene. La pioggia, però, toglie ogni sicurezza alle persone nelle tende dell'ospedale. Toglie loro i posti letto e li espelle, proprio come fa l’occupazione.

Dio, accettiamo tutto ciò che ci dai. Ti abbiamo disobbedito e tu hai perdonato, perciò perdona il nostro peccato più grande.

Ieri, a mezzanotte, avevamo coperto la nostra tenda con un telo di plastica per proteggerci dalla pioggia, ma l’acquazzone è stato più forte dei pali e del tetto della nostra tenda, e così l’acqua ha cominciato a riversarsi sulle nostre teste. Siamo usciti dalla tenda portando in braccio le nostre cose dopo molti tentativi di tenere l’acqua fuori. Abbiamo radunato i nostri averi e siamo andati alla scuola pubblica vicina. Dicono che l’UNRWA isserà le bandiere sopra di essa per renderla un luogo sicuro, come se le scuole dell’UNRWA non siano state bombardate prima. Abbiamo trascorso la notte in una classe, piangendo sulla nostra condizione. 

Alle quattro del pomeriggio, ho preso delle melanzane al forno di fango vicino all’ospedale, e lì ho incontrato una bambina di nome Hanan. I suoi occhi bellissimi ti lasciano dimenticare il dolore per un momento, ma rubano anche la serenità che ti trasmettono, a causa della stanchezza del suo volto, come se non fosse mai stata una bambina. Come me, Hanan era venuta per le melanzane. Mi ha sorriso e le ho fatto una fotografia. La gente viene al forno di fango tutti i giorni, per poter prendere un turno a cucinare, a causa dei tagli della corrente e per la mancanza di gasolio. 

Al mattino, ho portato mio padre a cambiare le garze delle sue ferite. Sono entrato in ospedale con lui, e un bambino e sua madre sono entrati con noi. Il bambino aveva bisogno di rimuovere i punti nella sua schiena mentre sua madre aveva delle ferite nel piede e nella mano. Dopo aver medicato le ferite di mio padre, l’infermiere mi ha chiamato: “Hajjaj, tieni il bambino stretto e impediscigli di muoversi”. Ho tenuto saldamente la schiena del bambino e lui ha cominciato a gridare. Avevo paura ad applicare troppa pressione e di rompergli il bacino con le mie mani. Il padre del bambino gli ha detto di dire: “O Dio” e il bambino ha cominciato a dirlo con la sua voce innocente, annegando nelle lacrime. In quel momento, mi ha rubato la resilienza e le mie lacrime sono quasi scese, ma le ho trattenute. 

Abbiamo finito e ciascuno è andato per la sua strada. Sono andato alla tenda per ricostruirla di nuovo. Siamo rimasti per ore finché la notte e scesa su di noi. Entro le sette di sera, la pioggia è ricominciata, distruggendo la maggior parte delle tende nel cortile dell’ospedale, inclusa la nostra, che avevano trascorso l’intero giorno a ricostruire. Ancora una volta, siamo annegati. 

Abbiamo preso tutto e siamo tornati a scuola dopo averla lasciata. Ore dopo, abbiamo sentito un suono di bombe che ha scosso il luogo. Le forze di occupazione hanno bombardato una casa vicino all’ospedale, e c’erano vittime nella strada vicino all’ospedale, dove andiamo a comprare qualsiasi cosa sia disponibile. Le ambulanze sono accorse a li hanno portati dentro con i martiri, uno dei quali era diviso in due. 

La situazione qui è catastrofica. La situazione della gente nell’ospedale fa piangere le pietre. Il cibo è scarso e disponibile solo al doppio del prezzo. Non c'è nessuno luogo per loro [la gente di Gaza]. Non ci sono mura che li proteggano dal freddo e nulla che li protegga dalle bombe. Siamo esposti alla morte in qualsiasi momento, perché le forze di occupazione hanno il permesso, da parte del mondo, di ucciderci. 

I notiziari dicono che giovedì è l’ultimo giorno per la rete di telecomunicazioni nella Striscia di Gaza, dopo di che saranno tutte tagliate. Netanyahu sta chiedendo che ciascun palestinese nella Striscia di Gaza vada nel Sinai egiziano. Potremmo essere forzati a sfollare. 

Il mio nome è Esam. Siamo stati sfollati da Shujaiyyeh, dopo il bombardamento della nostra casa, a  Hay Al Zaitoun, dove la casa è stata bombardata sopra le nostre teste venerdi, 27 ottobre, alle 6.14. Siamo stati trasferiti dall’ospedale Al Shifa all’ospedale Europeo per curare mio padre. Questo potrebbe essere il nostro ultimo contatto. Il nostro prossimo contatto potrebbe essere dal Sinai, o tramite le preghiere per le nostre anime. 

Giorno 59 del massacro, 4 dicembre 2023

È come se il mio cuore fosse una storia intrecciata dalle mani di una donna che tesse tutte le storie della casa, dalla cucina al salotto alle camere da letto. Il tempo in questa storia è strano, e i suoni sono distanti, e il sapore di questa storia non è simile a quello che i bambini sentono prima di dormire. 

L’ultima scena durante la tregua era infusa di vita - come se Gaza non fosse mai morta. Era come un’arteria attraverso la quale il sangue pompava vigorosamente. 

Una mattina, volevo una tazza di tè caldo per lenire il mio mal di gola, ma il bollitore mi ha tradito con il suo malfunzionamento. Perciò ho messo il tè nella pentola che usiamo per il fuoco. Ho visto molte pentole accanto al fuoco, e quando è arrivato il mio turno, il fuoco si era spento. Mentre accendevo nuovamente il fuoco, un giovane ragazzo mi ha detto: “Che cosa fai, zio?”. Ho detto: “Faccio il tè.” Ha detto: “Il tè in una pentola?” Ho riso, e lui ha cominciato ad aiutarmi ad accendere il fuoco. Mi ha detto che non si accendeva per via del tipo di legna. Ho sorriso, vedendo come l’esperienza di vita di questo bambino aveva superato la mia. C’erano, in effetti, due tipi di legna vicino a me, che la gente aveva tagliato dagli alberi. 

Vicino al rubinetto dell’acqua ho trovato una ragazza e sua sorella. Mi hanno detto che la mia presenza aveva fatto tornare l’acqua, e io ho detto: “Wallah!”, e abbiamo riso tutti. Non ci importava dei nomi. Mi hanno chiesto la mia età e se fossi sposato. Erano più giovani di me, e condividevano storie dei loro fidanzamenti rotti. Per una di loro, non erano riusciti a trovare un accordo sulla dote e sui dettagli di vita. Una disse a voce alta: “Non lo amavo!” ed era l’unica ad avere lividi in volto per essere stata picchiata. Siamo andati ciascuno per la sua strada. 

Ciò che voglio dire è che la vita è dentro di noi. La viviamo ovunque, anche se c’è distruzione. Ma come posso ignorare i suoni che uccidono gli amanti in ogni secondo. Ora siedo sul pavimento dell’ospedale e le bombe fanno tremare tutto intorno a me. Sono le 5:36 di sera. 

Giorno 75 del massacro, 20 dicembre 2023

La città è piena di strane contraddizioni che mischiano vita e morte e trasformano scene di morte in pezzi cinematografici privi di piacere. Ma lo spettatore è incapace di distogliere lo sguardo nonostante la crudeltà della scena. Provi a proteggerti dalla travolgente pressione di sentire le notizie del martirio o del ferimento di qualcuno, dai suoni delle storie terrificanti e dalle scene che vedi ogni ora. 

Ieri sono andato al mercato, e per la strada di ritorno da Rafah all’ospedale Europeo, l’autista del bus non voleva sentire il notiziario e ha deciso di accendere la musica. L’autista era spiritoso, ha acceso una sigaretta e ha detto voglio morire così, non mi interessa di qualsiasi cosa e sono contento della vita che ho vissuto finora. Tanta gente ha provato a vendergli del diesel, ma la sua risposta è sempre stata che lui è pronto a fornire e vendere diesel a prezzi più bassi del mercato. 

Il bus era come la lampada di Aladino, ci ha trasportati da un’atmosfera piena di morte alle nostre memorie dei viaggi in bus ascoltando la musica con gli amici e litigando su chi avrebbe messo la propria canzone preferita per primo. Mi ha riportato ai ricordi di quando andavo alla spiaggia di Gaza con la macchina di mio fratello. Neppure quella macchina si è salvata dai bombardamenti. 

Questo mi ha fatto pensare a se ciò che stavo facendo su questo bus significasse che stavo mancando di rispetto al dolore della gente e al mio, ma tutti condividiamo questo dolore. Io voglio che l’aggressione su Gaza si fermi e voglio farmi una doccia calda senza che nessuno bussi alla porta mentre sono dentro. Voglio stendermi nel mio letto e dormire profondamente e liberarmi dei miei vestiti sotto le coperte. Voglio svegliarmi quando voglio senza il suono di grida. Odio la distruzione e il mio messaggio al mondo è che coloro che compiono i massacri contro di noi dovrebbero gettarsi nel secchio della spazzatura perché sanno cosa stanno facendo nel loro percorso oscuro. 

Ma tutto nel nostro mondo è incompleto. Sbagliavo quando ho pensato che il mio giorno sarebbe stato completo agli occhi dell’autista. Il tempo è stato sufficiente a cambiare le cose. Dopo la preghiera della sera e vicino alla scuola rifugio vicina all’ospedale, una casa è stata bombardata e 60 persone sono state martirizzate, mentre decine sono rimaste ferite tra coloro che cercavano rifugio nella scuola Ah Fukhari, tutto in un minuto.